In ricordo di Giovanni.

 

 

Giovanni ci ha lasciati alle tre del pomeriggio di sabato scorso.

 

Per la prima volta da quando andavo a trovarlo a Casa Spinelli avevo scelto di andarci di sabato: il sabato della sua morte.

 

Non l’ho visto morire. Questo strazio mi è stato risparmiato. Quando sono arrivato con Ivana, il suo corpo era stato già composto. Con la sua famiglia tutta intorno al letto di morte.

 

Ivana e io abbiamo fatto fatica a renderci conto di quello che era successo: tale è stata la sorpresa da prevaricare perfino sul dolore della scomparsa di Giovanni.

 

Quando siamo entrati nella sua stanza, pensavamo di trovare il “solito” Giovanni ad accoglierci con il suo sguardo buono ma pieno di stanchezza, sforzandosi perfino di sorridere.

 

 

Perché così era Giovanni. Un uomo buono. Che aveva imparato ad accettare il dolore della vita.

 

Sia che gli venisse da un destino imponderabile sia che gli venisse dagli altri.

 

Era disabile mentale, Giovanni, fin dalla nascita Giuro che frequentandolo non l’avevo capito. E se l’avessi capito, gli avrei voluto ancora più bene.

 

 

Un uomo buono, Giovanni. Generoso e pieno di Fede. Perfino quando era arrabbiato con Dio.

 

“Sai – mi confidò una volta con candore - devo confessarmi perché ho tirato qualche ‘bestemmino’” E quel diminutivo mi aveva intenerito in modo struggente. Perfino quando ce l’aveva con Dio, lo insultava, ne sono sicuro, come si fa da bambini. Per rinsaldare l’amicizia.

 

Era un volontario, Giovanni. In varie associazioni, oltre allo SCUDO. Tante e tali da far fatica a ricordarle.

 

Il suo vero orgoglio era fare il barelliere a Lourdes. Ne parlavamo spesso. Nel sentire come ne parlava, in me si è insinuato a poco a poco il desiderio di andare anch’io a Lourdes. Insieme a lui. Facendo anch’io il barelliere con lui.

 

Purtroppo questo desiderio non si è realizzato. Anche se a Lourdes poi sono andato, grazie a Giuseppe: un altro volontario, un altro barelliere, un altro dei tanti amici di Giovanni.

 

 

Quanto è stata straziante e lunga la sua malattia. Era appena passata la Pasqua del 2013 quando andai a trovarlo per la prima volta al Niguarda, reduce da una prima operazione.

 

E poi la rianimazione, seguita da un’altra operazione. E poi  la riabilitazione. Sempre fra il letto e la carrozzina.  

 

Giovanni sotto flebo, inappetente. Giovanni che incominciava a deperire. Ad essere scavato dentro dalla malattia.

 

Eppure ci sono stati anche dei momenti felici per Giovanni e per gli amici che andavano a trovarlo al Niguarda e a Casa Spinelli, a Rivolta d’Adda.  Si sono organizzati perfino dei “pizza party”.  Questo fino alla fine del settembre 2013.

 

 

Quanto è stato straziante il dolore del fratello Vincenzo che, fin dall’inizio del ricovero ospedaliero di Giovanni, sapeva perfettamente che per Giovanni non ci sarebbe stata mai vittoria sul male che lo stava divorando.

 

Tutto dipendeva solo dalla capacità di Giovanni ritardare l’inevitabile sconfitta.  Non si è mai illuso Vincenzo. Ma ha lottato con tutte le sue forze per avere Giovanni con sé il più a lungo possibile.

 

Il rapporto fra Giovanni e Vincenzo è stato bellissimo.

 

Giovanni, più vecchio di Vincenzo,  donava la sua saggezza di fratello maggiore a Vincenzo come se ne fosse il padre.

 

Vincenzo proteggeva Giovanni dalla sua disabilità mentale come se ne fosse il padre.

 

 

L’ultimo ricordo che mi rimarrà di Giovanni sarà la sua visione da morto. Bello e ieratico come un Santo di El Greco. Santo in Paradiso Giovanni lo è già, se devo credere alla poca Fede che ho in me.

 

 

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